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Significato e Origini del Karate
SIGNIFICATO DI KARATE

Il termine karate è composto da due ideogrammi : “kara” che vuol dire nudo-vuoto e “Te” mani. La parola oltre a significare mani disarmate è riferita anche allo stato mentale di che lo esercita, ovvero al vuoto mentale ZEN praticato nella filosofia buddista.
Il Karate è un’arte di autodifesa senza armi, dove non solo braccia e gambe, ma tutte le restanti parti del corpo vengono preparate e trasformate con l’allenamento quotidiano in altrettante armi che possono essere utilizzate liberamente ed in modo opportuno, anche se un tempo erano usate solo ed esclusivamente per esigenze di sopravvivenza.
Ora con il karate moderno questa micidiale forma di lotta è stata tramutata in sport. Subentra quindi l’autocontrollo, cioè la capacità di lanciare un colpo con tutta la potenza , facendo intervenire tutti i muscoli del corpo (KIME) e tutte le capacità della mente (KI), ma nello stesso tempo arrestandolo prima del contatto, ovvero esercitandosi come se il bersaglio immaginario fosse il punto vitale del nostro avvesrario.
La bellezza del karate è contenuta nelle tecniche a vuoto; questo sta a significare che non dobbiamo sconfiggere nessun avversario, ma vincere su quello principale che siamo noi stessi. Il karate è quindi considerato una attività sportiva che impegna l’intero corpo, riuscendo a farlo muovere liberamente senza eccessivi sforzi e favorendo lo sviluppo psicomotorio di chi lo pratica.
Il karate è anche prevenzione, rispetto, equilibrio, cortesia, controllo e, soprattutto “ ARMONIA”.

ORIGINI STORICHE DEL KARATE

Il karate ha le sue origini in oriente, anche se non sono documentate , ci atteniamo, in parte, alle leggende trasmesse e, in parte, alla realtà. A cavallo tra la fine del V e l’inizio del VI secolo d.c. diventò noto nella casta dei guerrieri indiani un certo BODHIDARMA che poi diventerà il 280° patriarca del Buddismo indiano. Il karate nasce dalla osservazione dai combattimenti degli animali. Tali imitazioni si rilevarono adatte anche al combattimento fra persone e quindi si cominciarono a studiare e ad elaborare tecniche come sistema di difesa e di attacco. Successivamente si passò allo studio dell’intero corpo umano cercandone i punti sensibili dove indirizzare i colpi con maggiore efficacia.
Si narra che il monaco giunse in Cina, attraversando l’inaccessibile vetta dell’Himalaya, per introdurre, professare e sviluppare il BUDDISMO ZEN, tentando di diffondere l’originario messaggio che il Budda aveva impartito.
Bodhidarma, conosciuto in Giappone con il nome di Darumataishi, sosteneva nei suoi insegnamenti che bisognava raggiungere la perfetta fusione tra corpo e spirito. Un’unità indivisibile, che mira alla suprema realizzazione delle tre nobili virtù: saggezza, rispetto reciproco e coraggio.
Il suo modo di professare il buddismo gli fece acquisire molti seguaci che si ritirarono in un monastero denominato “Shao Lin” “Giovane Foresta”. Bodhidarma introdusse un metodo di lotta indiano o Kempo. Questo tempio divenne famoso per la dottrina Zen (Ch’an in cinese), per l’invidiabile metodo di lotta e soprattutto per le tecniche di respirazione, per lo sviluppo dell’energia interna o semplicemente KI.
Questa disciplina era ritenuta segreta, veniva insegnata solo a coloro che prendevano i voti monacali entrando a far parte del suddetto monastero. Al fine di ottenere quella “Illuminazione interiore” Bodhidarma sottoponeva a durissimi allenamenti i suoi seguaci, in modo da purificare innanzi tutto lo spirito e poi fortificare e rendere sano il loro corpo. Tale disciplina veniva insegnata solo ai monaci poiché si temeva che tali tecniche se venivano apprese da gente disonesta, potevano servirsene contro la popolazione. Attorno al 570 d.c. il tempio, poiché ritenuto anti buddista, fu raso al suolo e i monaci dispersi in altre regioni.
Il karate, quindi, deriva da una matrice indiana e dalle origini cinesi del Kempo. Successivamente fu diffuso ad Okinawa nell’arcipelago dei Ryukyu, dove si è evoluto. Anche dell’arrivo del karate ad Okonawa non vi sono documenti storici.
Si narra che intorno alla fine del XIV e all’inizio del XV secolo furono emanati due editti che vietavano l’uso delle armi, pena la vita. Gli abitanti dell’isola, vedendosi privati dell’uso delle armi, cominciarono ad allenarsi segretamente sviluppando e perfezionando un metodo di difesa a mani nude. Acquistando forza interiore e con allenamenti faticosi, molto presto rinforzarono mani e piedi in modo da farli diventare vere e proprie armi. Queste arti marziali furono praticate col massimo riserbo e di generazione in generazione per più di trecento anni. Ad Okinawa raggiunsero il massimo sviluppo. Infatti questo metodo di lotta era conosciuto anche con il nome di OKINAWA TE, mani di Okinawa. Tre erano le scuole maggiori, che venivano identificate con il nome delle regioni di appartenenza: TOMARI TE (il porto), SHURI TE e NAHA TE (le isole).
Successivamente si ridussero a due: la scuola SHORIN, con sede a Shuri, con movimenti agili e veloci e la scuola SHOREI, con sede a Naha, con caratteristiche tecniche lenti e forti; si arrivò , così, alla nascita del karate moderno.
Attorno al 1900 fu sollevato quel velo di segretezza con le prime apparizioni ed esibizioni pubbliche. Il periodo compreso tra il 1917 e il 1922, segna l’inizio del karate in Giappone a cura di un certo GICHIN FUNAKOSHI di Shuri, dove nacque nel 1867.
L’ingresso ufficiale del karate in Giappone è nel 1922, anno in cui il M° Funakoshi fu invitato dal Primo Ministro Giapponese ad insegnare la sua disciplina nelle scuole militari ed in molte università. In questi ambienti dimostrò la validità della sua disciplina che acquistò presto molto successo: il karate stile SHOTOKAN (Shotokan significa “Scuola della casa di Shoto”
Successivamente, nel 1926, arriva in Giappone il M° Mabuni Kenua che introdusse lo stile SHITO RYU, per poi arrivare al 1930 con lo stile GOJU RYU del M° Miyagi Choyun e , nel 1935 il M° Ohtsuka Orinori con lo stile WADO RYU.
Storia del
GOJU RYU KARATE DO
Storia del GOJU RYU KARATE DO
Una cinquantina sono gli stili di karate ma i principali sono quattro: SHOTOKAN, SHITO, GOJU e WADO.
Altri stili importanti sono: Kyokunshinkai (M°Masutatsu Oyama), Shotokai (M°Obata), Sankukai (M°Nambu), Seshin Ryu (M°Kuniba), Itosu Kai (M°Sakagami), Yoseikan Budo (M° Mochizuki), Shorin Ryu (M°Asanobu)

SHOTOKAN significa “Scuola della casa di Shoto”, Shoto significa “onde di pino”. Il caposcuola è GICHIN FUNAKOSHI che fondò questo stile (il più diffuso nel mondo) basandolo su potenza e velocità nonché su posizioni basse e lunghe.
SHITO, il nome è composto da due ideogrammi, SHI, che si può leggere ITO, sta a rappresentare il nome del Maestro ITOSU; TO, che si pronuncia HIGA, sta ad indicare il Maestro Higahonna. Il termine Shito deriva, quindi, dai nomi dei due maestri che collaborarono con il fondatore Maestro Kenwa Mabuni. A differenza dello Shotokan, le posizioni sono più alte, i movimenti sono eleganti e spettacolari, con forti contrazioni muscolari e diaframmatiche.
WADO significa “Via della pace”. Le posizioni sono molto alte e simili a quelle dello Shito Ryu. Caratteristica principale è il tai sabaki (spostamento), sia frontale che laterale, molto veloce; si sfruttano molto bene le rotazioni, le prese e le proiezioni, in quanto il caposcuola Hironori Ohtsuka, aveva una vasta esperienza di Ju Jitsu.

GOJU RYU

La parola GOJU è composta da due ideogrammi: Go che significa duro, forte e Ju che significa morbido; da “Goken” e “Juken”, pugno duro e pugno morbido. A differenza dello Shotokan, questo stile è fondato su movimenti lenti e potenti, per cui è particolarmente adatto a persone con una forte costituzione fisica. Esso usa, in particolare, una posizione studiata per adattarla alla respirazione “Sanchin dachi” controllando efficacemente contrazioni e decontrazioni muscolari. Caposcuola è stato il M° Chojun MIYAGI.

CHOJUN MIYAGI
Fondatore della scuola Goju è stato il Maestro Chjun Miyagi, allievo del Maestro Higahonna, studiò in Cina entrambe le forme in cui si esprimeva il “Chi Chi” o Boxe Cinese, applicandosi non solo allo stile “forte” dello Shaolin Ch’uan e del Wu lang, ma anche agli stili cosiddetti “morbidi” quali il Pakua Chang e il Tai chi ch’uan che da lui fusi con l’originario Okinawa te diedero vita alla nostra scuola, la GOJU RYU. Un Maestro di incommensurabile bravura, Miyagi fu considerato come il miglior karateka del suo tempo della scuola di Okinawa. Persona estremamente calma, di nobili origini, nacque a Naha e spese una fortuna nello studio, nello svilupppo e nella diffusione del karate. Riteniamo utile, per suffragare le nostre affermazioni, riportare un pezzo a Lui dedicato dal giornalista Tokuda Anshu, corrispondente dell’”Asahi Shinbun” (pezzo successivamente ripreso da importanti riviste di arti marziali) e che trascriviamo sinteticamente:
<in gioventù, nell’anno 1929, Tokuda divenne allievo del grande Maestro di karate Kyan Chotoku. Egli aveva appena nove anni ed era considerato un grande onore seguire lezioni nel dojo di Kyan. Un giorno Tokuda venne a conoscenza che un suo amico, Yamakawa Iwasuke, prendeva lezioni di karate nel dojo di Miyagi.
Fu la prima volta che egli vide una dimostrazione di Naha Te completamente differente dalla scuola Shuri te. Egli osservò gli allievi che eseguivano insieme il kata “Sanchin” e ne ricavò un’imressione di scena selvaggia e rozza. Successivamente lo vide eseguire dal Maestro Miyagi: non aveva mai visto un uomo come lui. Rimase colpito dall’eleganza dei suoi movimenti. Il Maestro sprigionava dal suo corpo una vitalità pari alla forza di un leone ma da lui controllata in una successione armoniosa di movimenti. Egli era veramente l’espressione della perfezione del karate. Il metodo di addestramento del M° Miyagi era scientifico e severo. Per prolungati periodi di tempo gli allievi si allenavano sino alla mezzanotte ed altri sulla ghiaia o sul brecciolino per migliorare lo spirito.
Nessuno poteva studiare un kata se prima non conosceva alla perfezione il kata immediatamente inferiore proporzionato al suo livello. Il M° Miyagi si alzava tutte le mattine alle cinque, praticava molte volte alcuni kata e usciva quindi di casa. Dopo una corsa di dieci chilometri ritornava nel suo dojo continuando nell’esecuzione dei kata.
Nel 1924 il M° Kano ed il suo allievo Nagaoka andarono ad Okinawa e tennero una dimostrazione di judo della durata di due ore. Fu una fantastica dimostrazione di resistenza e abilità. Miyagi assistette alla dimostrazione accompagnato dal suo vecchio amico Matsu. Alla fine della dimostrazione, Matsu chiese al M°Miyagi se qualsiasi esperto di karate avrebbe potuto eguagliare la prova data dai maestri Kano e Nagaoka. Miyagi rispose semplicemente che ogni esperto di arti marziali si sarebbe potuto cimentare per ore in qualsivoglia dimostrazione senza dare segni di affaticamento. Il giornale “Ashai Shinbun” interessatosi gli chiese di provare ciò che aveva asserito. Miyagi, dopo essersi a lungo fatto pregare, accondiscese, precisando però che la sua dimostrazione non doveva essere considerata alla stregua di uno spettacolo bensì l’onore del karate di Okinawa.
La dimostrazione avvenne senza ostentazione di presunzione; in Okinawa non si vide mai più niente di simile: era una esibizione di “karate Meijin”. Miyagi introdusse a viva forza la mano in un fascio di canne di bambù estraendone poi una dal centro. Conficcò una mano in un grosso pezzo di carne strappandone dei brandelli. Mise del gesso bianco sulla pianta dei piedi e portò un calcio volante lasciando l’impronta su un soffitto in modo che tutti potessero vederla. Con le sole dita scortecciò completamente il ramo di un albero e con l’alluce del piede fece un buco in un contenitore metallico di kerosene. I presenti lo colpirono ripetutamente e duramente con bastoni senza che il fisico ne risentisse minimamente. Compì moltissime altre cose incredibili. La dimostrazione si prolungò per tutto il pomeriggio, superando di gran lunga le due ore originariamente accordate. Al termine Miyagi dichiarò:
<Ogni esperto di Karate che si alleni propriamente può fare tutto questo. Si tratta solo di “pagarne il prezzo”. Il Karate è dedizione totale. Io non ho fatto niente che qualcun’altre non possa. Non esistono mezze misure! Una cosa si fa o non si fa. Niente è impossibile>
Il M° Miyagi Chojun morì a Ishikawa (Okinawa) l’8 ottobre 1953. Il figlio Takashi, Yagi Meitoku (che gli erano accanto al momento del trapasso), il M° Yamaguchi Gogen , il M° Gonnohyoe Yamamoto e tanti altri hanno continuato o stanno continuando la sua opera.
Maestro Chojun Miyagi
M° Miyagi Chojun
MAESTRO GOGEN YAMAGUCHI
YAMAUCHI GOGEN

Fedele discepolo del M° Miyagi, Yamaguchi Gogen, 10° dan stile Goju, è conosciuto in Europa con il soprannome di “Il Gatto” (1907-1989). Questo grande Maestro, vero Patriarca del suo stile, è stato padre di tre figli e una figlia tutti esperti Maestri di Karate: Gosei , il più anziano, 9°dan insegna negli Stati Uniti, la più giovane Wakako, 7°dan, è campionessa giapponese ed insegna in Spagna.
<Per parlare veramente di Karate>, sosteneva Yamaguchi, <bisogna dimenticare il lato sportivo della cosa, questo non vuol dire escludere il Jiu Kumite (combattimento libero). L’importante è parteciparvi con lo stesso spirito con il quale un atleta si reca in palestra: l’immagine attuale, sinonimo di brutalità per il grande pubblico, ha distorto la realtà del combattimento tradizionale, tramutandolo in una farsa. Protezioni di plastica, paradenti di gomma, guantini multicolori, tutte cose che portano solo l’atleta a non controllare più i colpi causando danni a volte ancor più gravi di un tempo. Nel mio dojo si parla di competizione solo poco prima di una gara, quando i miei allievi si preparano in appositi stage. Per il resto, i pochi minuti che vengono dedicati al jiu kumite di palestra devono unicamente servire a mettere in pratica le tecniche di base imparate. Non ha alcuna importanza vincere o perdere, portare un colpo o subirlo. Ieri mio figlio Goshi, 6° dan, è stato proiettato da un suo allievo 1° dan. Per certo era più contento lui di chi ha portato il colpo. Segno che gli allievi imparano, e che i Maestri insegnano bene>
Sensei Yamaguchi, come gli altri veri Maestri, non transigeva. Le tecniche di base devono essere apprese correttamente e nei tempi esatti. Il karate, come tutte le discipline, non può essere appreso in pochi mesi. Il primo dan, in giapponese SHODAN, è solo l’inizio, il noviziato e quando il Sensei non è contento di qualche esercizio fa riprendere a questi “novizi” le tecniche di base dal principio, come fossero cinture bianche. L’apporto dello Zen e dello Yoga è molto importante nello studio del Goju Ryu. Specie la respirazione è addirittura essenziale.
Yamaguchi è stato un vulcano di idee. Per abituare i suoi allievi a decontrarsi e a divertirsi allenandosi aveva creato un curioso combattimento che veniva praticato sulla spiaggia al termine delle lezioni. I due contendenti portavano a tracolla una grossa anguria e dovevano romperla con un pugno o con un calcio senza toccare l’avversario.
Il Maestro Yamaguchi nacque nel 1907 nella prefettura di Kagoshima in Giappone e morì nel 1989 a Tokyo. Cominciò la pratica del karate mentre era studente della Ritsumeikan University di Kyoto. Un giorno Yamaguchi incontrò uno studente di nome Jutsuei Yogi che era stato allievo del Maestro Miyagi a Okinawa e assieme a lui creò, in seno all’università, un nuovo Goju ryu Karate Club dove Yogi ne divenne l’insegnante. Il Maestro Miyagi visitò Kyoto due volte nella sua vita e vi tenne stages aperti a tutti gli studenti provenienti da diversi clubs di karate e anche di judo. Yamaguchi ha rivendicato di essere il successore di Miyagi, ma quando nel 1978 vari studenti di Miyagi provenienti da Okinawa (Toguchi, Yagi …)assieme a molti Maestri giapponesi di Goju Ryu parteciparono al 25° memoriale in onore del loro Maestro, lo stesso Yamaguchi pubblicamente riconobbe di non essere stato allenato molto a lungo dal maestro Miyagi. Aggiunse, tuttavia, che quest’ultimo gli aveva chiesto specificamente di aiutarlo a promuovere il Goju Ryu in Giappone. Per questo motivo il Goju RYU insegnato in Giappone e derivante dalla scuola del Maestro Yamaguchi differisce, in parte, dall’insegnamento del Maestro Miyagi.
L’insegnamento del M° Gogen Yamaguchi è proseguito con l’opera del figlio Gosei, fondatore della Goju Kai.
SIGNIFICATO DEL KATA
KATA

Il kata è una serie preordinata di tecniche, con una logica di parate (uke), di pugni (tsuki), di calci (geri) e percosse (uchi), tutti combinati tra loro in modo razionale. Raffigura gli immaginari combattimenti con più avversari, che si svolgono secondo un ordine preciso, con una perfetta armonia di ritmo e coordinazione e nella più totale concentrazione psichica. Tali kata rappresentano l’anima del karate tradizionale. La pratica costante e l’allenamento quotidiano, servono a mantenere inalterate nel tempo le forme originarie tramandateci dai grandi maestri. Infatti, furono proprio essi a studiare i principi per potenziare il corpo e rafforzare la mente, sviluppando riflessi e velocità, atti ad ottenere tutti quei vantaggi psicofisici che il karate persegue, oltre, ovviamente, al principio basilare della propria incolumità fisica.
La conoscenza del proprio corpo, il controllo di se stessi, la capacità di concentrazione, il miglioramento dell’equilibrio, la corretta respirazione, il Kiai, il giusto ritmo, contrazione e decontrazione muscolare, sono tutti fattori che costituiscono parte integrante per l’esecuzione dei kata. Ogni kata è basato su proprie caratteristiche tecniche e dinamiche per cui ogni movimento ha un significato e una funzione ben precisa. Praticando il kata, il karateka deve essere pronto a qualsiasi evenienza, eseguendo tecniche di difesa o di attacco su tutte le direzioni. Molto importante è acquisire un grado di concentrazione atto ad accrescere il livello e l’intensità attraverso una serie di spostamenti. Tali spostamenti vengono eseguiti lungo un tracciato di esecuzione (embusen) che varia e cambia forma in base al kata.
Il karateka prima di eseguire e dopo aver ultimato il kata, dovrà esprimere un senso di rispetto, umiltà e cortesia nei confronti di un immaginario o reale avversario: tutto si identifica nel saluto. Successivamente ci si pone in posizione Kamae ed il karateka dovrà liberare la sua mente da tutti i pensieri atti a disturbarla, oltre a rilassare il corpo dalle tensioni. Occorre incentrare la sua concentrazione e potenza nel punto di forza (tanden) situato nel ventre (Hara) a circa 3 cm sotto l’ombelico. Partendo da un punto dell’embusen, per l’esecuzione del kata, dopo aver eseguito i vari spostamenti, è necessario che si ritorni al punto di partenza. Per ottenere il giusto ritmo del kata si devono tener presenti alcuni fattori molto importanti:
EQUILIBRIO
VELOCITA’ e LENTEZZA
CONTRAZIONE e DECONTRAZIONE MUSCOLARE
USO APPROPIATO DELLA POTENZA
CORRETTA RESPIRAZIONE
TECNICA CORRETTA
KIAI
E’ buona regola inspirare durante una tecnica di parata ed espirare rapidamente durante una tecnica di attacco diretto contro un bersaglio prefisso, con la massima forza e nel più breve tempo possibile (kime). Strettamente connesso alla respirazione, si emette un forte suono: KIAI. Tale suono non è solo vocale ma anche ventrale e addominale e consiste in una forte contrazione muscolare atta ad emettere con rapidità e potenza l’aria inspirata.
Il kiai si effettua a metào alla fine di ogni kata o più precisamente in quei momenti di massima concentrazione psicofisica. La parte finale (zanshin) è anch’essa parte integrante per la buona riuscita del kata, e deve essere eseguita in maniera perfetta come la posizione iniziale (kamae). E’ obbligo infine ricordare, che la prima tecnica di ogni kata è sempre una parata. Proprio questo sta a significare che il karate è difensivo e non offensivo e lo scopo principale è il raggiungimento del perfetto equilibrio tra zen e ken (tra mente e corpo).
I KATA DEL GOJU RYU
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I KATA DEL GOJU RYU
Lo stile Goju enfatizza il combattimento a distanza ravvicinata, infatti tutti i kata comprendono calci all’inguine e alle ginocchia, Yamaguchi, tuttavia, modificò lo stile con le sue innovazioni nel combattimento, allo scopo di adattarlo alle competizioni degli anni ’50 e ’60.
KATA DEGLI ESERCIZI DI BASE
1)TAIKYOKU JODAN (parata alta)
2) TAIKYOKU CHUDAN (parata media)
3)TAIKYOKU GEDAN (parata bassa)
4)TAIKYOKU KAKE UKE (parata a mano aperta)
5)TAIKYOKU MAWASHI UKE (parata circolare)
6)GEKISAI ICHI (introduzione ai kata superiori 1)
7) GEKISAI NI (introduzione ai kata superiori 2)
KATA SUPERIORI
8)SANCHIN: significa tre battaglie o conflitti tra corpo, mente e spirito. Il kata Sanchin insegna colpi di base, la tensione dinamica delle gambe e la respirazione. Il kata prevede una respirazione profonda e la tensione dinamica o contrazione muscolare isometrica come allenamento di potenza. Lo scopo della tensione dinamica è di produrre un effetto di indurimento del corpo in generale, per sviluppare la resistenza ai colpi. Il kata Sanchin è molto antico, le sue origini risalgono alla Cina. In origine era eseguito con le mani aperte, ma più tardi si cominciò ad eseguirlo a pugni chiusi.
9)TENSHIO: significa mani o palmi ruotanti. Questo significa che si usano prese e movimenti circolari di bloccaggio a mano aperta. Miyagi inventò il kata Tenshio basandosi su un capitolo di un vecchio testo “Bubishi” intitolato Rokkishu, ovvero “Sei mani di Vento”. Il testo sulle arti marziali chiamato Bubishi era un libro tenuto in grande considerazione dal Maestro Miyagi e dagli altri maestri di Okinawa. La versione del kata insegnata dal Maestro Yamaguchi è chiaramente riconoscibile rispetto a quella di Okinawa per via dell’uso di un più ampio mawashi uke o blocco circolare.
10)SAIFA: significa “punto di lacerazione o rottura”. Il kata inizia con tre liberazioni. È caratterizzato da due corti calci frontali rilasciati da una posizione su una gamba sola. Si tratta, in effetti, allo stesso tempo di una parata e di un calcio ed è il segno distintivo del kata.
11)SEIUNCHIN pronunciato SEIENCHIN in giapponese, è un antico kata e il suo significato sembra essere andato perduto. Anche a Okinawa il nome del kata è scritto in katakana, l’alfabeto fonetico, invece che negli originali caratteri cinesi. Alcune tradizioni orali si riferiscono al kata come “la quiete dentro la tempesta”, a “sbilanciare” o, traduzione ancora più interessante, a “la tigre caccia la preda”. Il kata usa una profonda respirazione addominale simile a quella del kata Sanchin e si affida alla Shiko Dachi per il lavoro di gambe. L’embusen o schema del Kata, descrive una stella a sei punte. Contiene molte gomitate e parate a mano aperta e chiusa. Il kata è insolito perché usa solo tecniche di mano e nessuna tecnica di calcio. Anche se alcuni esperti di karate hanno suggerito che i calci fossero nascosti nel kata.
12)SANSEIRYU: è un antico kaisho o kata avanzato che significa trentasei. Il numero 36 è un numero significativo nel Buddismo e nel Taoismo, filosofie cinesi che avevano influenzato il karate di Okinawa. L’inizio del kata comincia con uno schema di tre passi simili al kata Sanchin. Il kata Sanseiryu include un calcio frontale in volo (questo movimento è talvolta eseguito come se fossero due calci frontali consecutivi) o nidan geri, delle tecniche per afferrare le gambe e far cadere l’avversario e alcune combinazioni di calcio frontale e gomitate. Finisce con una posizione usata raramente, chiamata inu no gamae o posizione del cane.
13)SHISOCHIN: significa “quattro monaci tranquilli”. Altre interpretazioni del nome sono “spingere o tirare in quattro direzioni di combattimento”. Le tecniche principali del kata sono tre nukite o mani a punta di lancia. Il kata ha una posizione all’inizio simile al modello del drago del kempo cinese. Il kata è caratterizzato anche da tecniche tuite di rottura delle braccia e usa tensho, il palmo della mano, sia per parare che per attaccare.
14)SEISAN: è un altro kata il cui significato rappresenta un numero. Il significato deriva sempre dalle filosofie taoista e buddista. Può significare 13 o 30. Fa uso di kanseetsu geri o calcio alle articolazioni del ginocchio, di pugni potenti e rovesciati.
15)SEIPAI: significa 18 e fa uso di movimento ondulatori. La tecnica più caratteristica del kata si trova all’inizio della forma, un braccio puntato in avanti dall’esecutore, portato con allungo laterale della spalla. Il significato deriva ancora da indicazioni numeriche della tradizione taoista/buddista. La forma deriva dal Rakkan Kenpo (boxe del monaco) descritto nel Bubishi. Include tecniche come un pugno montante circolare e due pugni alle costole-
16)KURURUNFA: il suo significato è stato interpretato come “opporsi alle onde”. In origine il bunkai, o spiegazione, del movimento iniziale era una presa alle lunghe maniche dei vestiti di stile cinese. Il kata enfatizza kansetsu geri, calcio diretto alle articolazioni delle ginocchia. Questo kata fa uso di parate a uncino, a mano aperta e spazzate sulle gambe. Contiene anche un movimento inusuale dovce le mani vengono unite e sollevate dietro alla testa.
17)SUPARINPEI: è la forma di goju ryu più avanzata e significa 108, riferendosi ai 108 punti vitali del corpo umano e ad altri simboli buddisti/taoisti. Inizia con lo stesso schema dei tre passi come Seisan e Sanseiryu. Il kata originario era il cinese Pechurin. Questa è una forma molto lun ga e difficile da eseguire. Contiene molte tecniche avanzate, tra cui combinazioni di parate e colpi a mano aperta e nelle quattro direzioni. Il kata rappresenta anche una combinazione a 360° di calci sempre più difficili da eseguire, fino ad arrivare ai calci frontali in volo. Inu no gamae, la posizione del cane conclude la forma.
Kata integrativi di Goju Ryu:
Taikyoku Jodan-Chudan
Gyaku No Kata
Tai Sabaki No Kata
Go No Kata
    
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